Doppio canale formativo: una soluzione critica per un problema irrisolto

Lo scorso 5 giugno le Regioni hanno inviato una proposta al Governo sulla formazione post lauream dei medici che sarà discussa in occasione della prossima riunione della Conferenza Stato-Regioni.

Il quadro che viene descritto è molto chiaro: a fronte di una richiesta di 8569 posti per medici in formazione specialistica richiesti per l’Anno Accademico 2017/2018 da parte delle Regioni e delle Province autonome, le coperture garantite dal bilancio dello Stato ammontano appena a 6200 contratti, con una differenza di 2369 unità.

Anche considerando i posti messi a disposizione tradizionalmente dalle Regioni, dell’ordine di qualche centinaio, i numeri rimangono largamente insufficienti per affrontare l’ormai cronico problema dell’imbuto formativo, acuito dal numero di candidati che ogni anno si presentano al concorso nazionale.

Pertanto, l’idea che è stata presentata recupera l’ipotesi già avanzata dalle Regioni e all’epoca non accolta per l’articolo 22 del Patto per la Salute 2014-2016 che prevedeva “un innovativo accesso al SSN da parte delle professioni sanitarie” capace di offrire “l’opportunità ai laureati in medicina e chirurgia di accedere al servizio sanitario pubblico” configurando “a latere la possibilità per tali dipendenti di intraprendere un percorso formativo ad hoc finalizzato all’acquisizione della specialità presso le aziende sanitarie stesse”.

Una simile proposta relativa all’istituzione di percorsi paralleli per l’accesso alla specializzazione aveva trovato ulteriore spazio quest’anno nei pre-accordi sull’autonomia regionale tra il Governo e Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna.

Anche in quella occasione abbiamo evidenziato le criticità della proposta, che vogliamo qui riproporre.
Se a prima vista tale soluzione può apparire pratica e di buon senso, essa rischia in realtà di inficiare la qualità del percorso di specializzazione sotto diversi aspetti.

Aspetti formativi

Il primo e fondamentale punto di criticità riguarda l’ambito formativo.

Creare un percorso parallelo nel SSN implicherebbe la formalizzazione di disparità e disomogeneità nella formazione, anche all’interno della stessa tipologia di scuola, con il risultato che il titolo del diploma di specializzazione potrebbe corrispondere a una professionalità molto variabile da specialista a specialista, dipendente solo da singole realtà.

Questa purtroppo è la realtà che già attualmente si riscontra in molte Scuole e la soluzione pertanto non deve essere l’introduzione di nuovi canali capaci di frammentare ulteriormente il panorama della formazione, ma al contrario, il potenziamento degli strumenti di verifica per garantire un’implementazione omogenea dei piani formativi.

Tra gli standard e i requisiti per le strutture in rete formativa, infatti, non esistono solo indicatori di prestazioni assistenziali, ma anche cruciali indicatori del livello di insegnamento.
Precisiamo inoltre come non sia sufficiente omologare la valutazione finale e l’aspetto della didattica, lasciandole appannaggio della Scuola di Specializzazione, poiché la formazione post-lauream è composta da molti altri aspetti, quali la tutorship, le valutazioni continue, la ricerca e aggiornamento o i momenti di condivisione clinica e scientifica che caratterizzano l’intero percorso.

Peraltro occorre ricordare che le reti formative delle Scuole sono state fortemente ristrutturate ed ampliate con il Decreto Interministeriale 402/2017, che ha definito gli standard assistenziali per poter includere i diversi tipi di strutture.
All’atto pratico, i cosiddetti “teaching hospitals”, di cui si sente parlare spesso come uno strumento per risolvere le attuali carenze, sono già implicitamente previsti dalla normativa, dato che lo specializzando può accedere per legge ad una rete formativa che al suo interno non comprende solo centri universitari, ma anche numerose strutture accreditate del SSN.
Se il problema è che la rotazione non viene adeguatamente rispettata, la risposta, a nostro avviso, è nell’istituzione di seri sistemi di controllo che permettano allo specializzando di segnalare le eventuali inadempienze della propria Scuola.

Affermare, come a volte si legge, che si impara di più negli ospedali universitari o in quelli non universitari significa banalizzare una realtà molto complessa appiattendola su una dicotomia semplicistica che non tiene conto delle diversità delle Scuole e soprattutto non guarda al cuore del problema formativo, cioè la valutazione e certificazione delle competenze da acquisire negli anni della specializzazione.

Entrambe le realtà devono esistere e cooperare sinergicamente, e a tal fine occorre rivedere i piani formativi delle varie Scuole definendo non soltanto cosa uno specializzando deve saper fare, ma anche come, in che tempi e con quale progressione nel tempo.

Infine, se con un sistema parallelo di inserimento nel SSN si utilizzerà una procedura di ingresso differente da quella del Concorso Nazionale, si determinerà un un’ulteriore e non giustificabile disparità tra gli aspiranti specializzandi.

Aspetti economici e lavorativi

Come premesso, la proposta di un doppio canale parte dal problema reale della carenza dei contratti formativi.
Se le Regioni vogliono dare un concreto apporto alla sua risoluzione, la proposta più semplice è quella di contribuire equamente e in base alle necessità regionali alla copertura dei contratti mancanti. Con un finanziamento di un numero di borse pari al loro fabbisogno (2369) verrebbe data dunque una risposta, anche se parziale, al problema dell’imbuto formativo.
Le Regioni medesime, però, dichiarano di non poter garantire il necessario finanziamento per tutte borse.
Di conseguenza è lecito pensare che, in assenza di ulteriori integrazioni, i contratti previsti dalle Regioni possano prevedere una retribuzione inferiore per ogni specializzando rispetto alle borse ministeriali comportando una disparità tra i diversi medici in formazione.

Anche dal punto di vista dell’accesso al mondo del lavoro, proposte che inquadrino i medici in formazione con contratti lavorativi a tempo determinato (come indicato sempre nell’ex articolo 22 del Patto per la Salute) e con diverse retribuzioni risultano essere tutt’altro che vantaggiose poiché con il solo scopo di tamponare i bisogni delle strutture del SSN mediante gli specializzandi in costante ricambio si riduce il turnover di assunzione di neospecialisti.

Risulta pertanto piuttosto chiaro che una simile proposta finisca per creare una pletora di professionisti sottopagati con il compito di sopperire a basso costo le carenze presenti nell’organico delle aziende sanitarie.

Infine, la presenza di contratti alternativi e locali comporterebbe verosimilmente una forte disparità in termini di diritti tra gli specializzandi “nazionali” e quelli “regionali”, con l’acuirsi di incertezze e iniquità dal punto di vista delle tutele.

Conclusione

Capiamo bene che la proposta di un percorso alternativo che scavalchi il concorso nazionale e permetta l’inserimento in contesto formativo parallelo, anche a remunerazione ridotta, possa a prima vista essere una prospettiva dalla forte e legittima attrattività in un contesto di dichiarata insufficienza di risorse, ma crediamo che si tratti di una soluzione al ribasso, che porterà ad azzerare i passi avanti che in questi anni si sono fatti nella formazione medica specialistica.

Serve ancora un grande sforzo per applicare uniformemente le direttive presenti nei Decreti Interministeriali 68/2015 e 402/2017, nonché per risolvere le criticità rimanenti del Concorso Nazionale.
Un nuovo sconvolgimento organizzativo del percorso formativo non farà altro che rallentare (se non vanificare) i miglioramenti ottenuti sino ad ora.

La proposta di canali alternativi trova consenso a causa della mancata volontà di garantire seriamente le risorse per la formazione medica che indurrebbe gli aspiranti specializzandi ad accettare, anche comprensibilmente, percorsi qualitativamente inferiori sia in termini di tutele che di formazione, creando specializzazioni di serie A e di serie B. Ma non è questa la soluzione adeguata al problema.

Chiediamo con forza che si difenda un percorso di specializzazione unico finalizzato ad assicurare le medesime competenze su scala nazionale, che spinga le singole Scuole a migliorare il proprio livello formativo per diventare poli di attrazione davvero professionalizzanti.

La formazione medica è un patrimonio di tutti ed una frammentazione dei percorsi formativi rischia di smantellare questo importante principio di universalità.

Se si vogliono trovare risorse per gli specializzandi si trovino senza scorciatoie e senza scuse i fondi per i contratti ancora mancanti, e si tuteli l’uniforme acquisizione delle competenze con tutti gli strumenti necessari.

La soluzione che chiediamo è che le Regioni, nell’interesse degli specializzandi, stanzino le risorse necessarie a finanziare nuovi contratti e che insieme a un ulteriore sforzo da parte del Governo e degli altri enti coinvolti (ad esempio, le Aziende Sanitarie Locali), si arrivi quantomeno a coprire l’intero fabbisogno nazionale di specializzandi all’interno di un percorso uniforme per tutti.

Parallelamente, chiediamo che si portino a compimento le Reti formative, in modo che tutte le realtà ospedaliere e sanitarie anche non universitarie ma in possesso dei requisiti necessari dal DIM 402/2017, possano accogliere medici in formazione nel contesto di programmi standardizzati e certificati.


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