Carenza di medici nei PS – Solo svilenti soluzioni, nessun intervento strutturale

La carenza di personale medico ed infermieristico nella Medicina d’Emergenza-Urgenza ha ormai raggiunto proporzioni critiche.

I legislatori, non potendo per ora interrompere un servizio essenziale per la salute di milioni di cittadini, si sono lanciati nelle più fantasiose soluzioni: c’è chi come il Molise prima ed il Veneto poi ha richiamato medici in pensione, chi ha stretto convenzioni con Università straniere, cercando oltre confine nuove forze arruolabili. Addirittura si sta iniziando a smantellare il servizio pubblico, appaltandocentinaia di migliaia di euro di proventi a società private per la ricerca di personale.

Ma l’ultima proposta creativa arriva dalla Regione Toscana, che ha deliberato di spalancare le porte dei Pronto Soccorso a medici neoabilitati senza alcuna competenza specifica nell’ambito dell’Emergenza-Urgenza, con la previsione di una non meglio specificata formazione “on the job” della durata di due anni che sarebbe un modo anglofono di dire che il medico in questione farà esperienza direttamente sulla pelle dei propri pazienti.

Una simile proposta è svilente sia per i tanti colleghi che in questi anni hanno intrapreso un percorso di formazione specialistico vero e proprio nella Scuola nata da poco in Emergenza-Urgenza, sia per coloro che dovrebbero usufruirne, ai quali viene offerta una formazione di serie B dimezzata e part time.

Si considera ancora la medicina d’emergenza urgenza una sotto-specializzazione, che si può imparare in fretta e furia, come se per di più per un Cittadino fosse la stessa cosa ricevere assistenza da un professionista specializzato o da un neolaureato.

La qualità del processo formativo non interessa a nessuno, è evidente, l’importante al momento è solo la copertura dei servizi.

La carenza era stata prevista da molto tempo e le previsioni per gli anni a venire sono pessime. I legislatori continuano a preferire soluzioni tampone rispetto ad una programmazione seria e ad una risoluzione strutturale del problema.

Abbiamo proposto più volte diverse soluzioni a breve e a lungo termine, che non sono mai state prese in considerazione.

Le ribadiamo nuovamente: che sia la volta buona?

Soluzioni a lungo termine

Prima di correre a ripari frettolosi per la carenza dei medici nei reparti più critici, è essenziale interrogarsi sulle reali cause all’origine del problema.

Essere un Medico d’Emergenza-Urgenza (MEU) significa lavorare duramente, sotto pressione, H24, 7 giorni su 7, 365 giorni all’anno compresi festivi e superfestivi, con enormi responsabilità.

L’ambiente lavorativo è sovraffollato per definizione e ciò è imputabile a più fattori. Da una parte i servizi sul territorio hanno perso la capacità di filtrare le non urgenze (che compongono il 15-20% degli accessi quotidiani), dall’altra la riduzione costante dei posti letto negli ospedali fa sì che i pazienti che necessitino il ricovero restino anche dei giorni su una barella nei corridoi del PS.

Nonostante tutto ciò il ruolo del MEU non è riconosciuto come lavoro usurante dalle attuali leggi (mentre in passato lo era) e lo stipendio, soprattutto se confrontato con altre branche che possono operare nel privato, è assolutamente inadeguato.

Inoltre per i Medici d’Emergenza-Urgenza non vi sono sbocchi formativi, poiché non è ancora stata riconosciuta una carriera universitaria specifica per questa disciplina. In questo modo i medici anziani non hanno alcuna possibilità di concludere la propria carriera facendo formazione per i colleghi più giovani.

Nonostante tutte queste pecche, resta una tra le discipline più affascinanti e molti giovani neoabilitati ambiscono a intraprendere questa carriera.

Peccato che molti di loro restino bloccati nell’imbuto formativo: sebbene negli ultimi anni siano aumentati i posti disponibili (256 contratti di formazione in Italia), questo dato resta nettamente al di sotto del fabbisogno stimato (almeno 800 contratti di formazione).

Con proposte come quella toscana, poi, nessuno più si prenderà la briga di cambiare città, oppure regione, per specializzarsi in MEU, quando con un paio di anni di formazione nell’ospedale sotto casa, alla fine, si svolge lo stesso lavoro.

E così questa proposta non solo risulta inutile (i neolaureati sulla carta sì copriranno i turni, ma c’è da chiedersi se saranno in grado di svolgere il lavoro necessario) ma pure dannosa, rischiando di minare l’esistenza stessa della scuola di specializzazione in Medicina d’Emergenza-Urgenza.

Non solo: quali sono le garanzie che la formazione “on the job” sia qualitativamente adeguata? Chi dovrebbe controllare la qualità formativa dei medici così formati? La loro formazione avverrà in luoghi con volumi assistenziali e complessità delle cure che diano una preparazione soddisfacente?

Di conseguenza le nostre proposte sul lungo periodo sono le seguenti:

  1. aumentare le borse ministeriali e regionali in Medicina d’Emergenza-Urgenza fino al massimo consentito dalla rete formativa per raggiungere gli 800 contratti annuali;
  2. riconoscere al lavoro di Medico ed Infermiere d’Emergenza-Urgenza lo status di lavori usuranti;
  3. incrementare lo stipendio per il personale medico ed infermieristico dei Pronto Soccorso;
  4. incrementare l’efficienza del filtro territoriale ed aumentare i posti di degenza presso i reparti ospedalieri;
  5. elaborare una carriera universitaria specifica per la Medicina d’Emergenza Urgenza.

Queste soluzioni, ovviamente, possono e devono essere declinate anche per altre specializzazioni carenti.

Soluzioni a breve termine

Per quanto riguarda l’immediato, le soluzioni ci sono e le ribadiamo:

  1. attivare i concorsi a tempo indeterminato per gli specialisti e per gli specializzandi all’ultimo anno, recependo appieno i commi 547 e 548 recentemente approvati in Legge di Bilancio 2019;
  2. eliminare immediatamente la possibilità di un canale formativo parallelo non standardizzato che porterebbe alla creazione di un medico di Pronto Soccorso di serie B con le stesse responsabilità;
  3. valutare l’estensione dell’attività intramuraria, attualmente garantita per legge anche agli specializzandi, in alcuni specifici ambiti dell’emergenza urgenza o permettere agli specializzandi dell’ultimo anno di fornire prestazioni limitate e adeguatamente retribuite extra orario formativo, con vincoli tali da non inficiare la qualità della formazione, in analogia a quanto avviene per le sostituzioni di guardia medica e dei medici di medicina generale.

Ci teniamo a sottolineare che queste soluzioni avranno ragione d’essere solo a seguito dell’implementazione parallela dei punti a lungo termine prima citati.

Sarà un nostro impegno prossimo sensibilizzare in ogni modo l’opinione pubblica sull’argomento.

Ma non è l’unica criticità: la mancanza di filtro del territorio è una delle cause principali del sovraffollamento dei Pronto Soccorso.

La crisi del personale nel setting emergenziale è frutto anche di un volume di richieste che non è adeguatamente gestito nell’ambito delle Cure Primarie. Non è più rimandabile inoltre un ripensamento radicale della Medicina Generale: essa costituisce il primo filtro al sovraffollamento dei PS e deve pertanto essere considerata una risorsa da non sottovalutare.

La verità è che assistiamo ad una crisi del pubblico, in cui il privato convenzionato offre condizioni lavorative competitive sia dal punto di vista economico che da quello delle tutele professionali.

Sempre più medici scelgono di non impegnarsi interattività pubblica e questa crisi è da imputare alle miopi scelte della politica, che in questi anni non ha creato le condizioni adatte a stimolare il personale medico e infermieristico ad aspirare a lavorare negli ospedali e nei Pronto Soccorso. È molto più facile, infatti, pensare ad una sanità privatizzata piuttosto che programmare e investire le proprie risorse economiche per tutelare la salute del Cittadino, la cui cura viene demandata ad attori terzi, disattendendo ad uno dei principali impegni dello Stato.

Non possiamo permettere che si crei una sanità di serie A, efficiente e brillante, dedicata a chi può permettersela, ed una sanità di serie B piena di toppe, per i meno abbienti.

Il rischio è reale e, se non verranno proposte soluzioni concrete, il sospetto del dolo sarà più che legittimo.

Noi non ci stiamo, e siamo pronti a mobilitarci assieme a tutti i giovani Colleghi.

Valerio T. Stefanone
Presidente Nazionale CoSMEU

Sottoscrivono:

Stefano Guicciardi
Presidente Nazionale FederSpecializzandi

Emanuele Spina
Presidente Nazionale Segretariato Italiano Giovani Medici


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