Negli ultimi mesi si è parlato molto di formazione in medicina e parallelamente di formazione specialistica a causa delle carenze evidenziate specificamente in alcuni settori.
Riteniamo sia necessario, al di là dei titoli di cronaca, fare chiarezza e fornire una valutazione dettagliata delle proposte emerse, per orientarsi meglio avendo una panoramica generale.
La formazione medica è un percorso estremamente articolato e talvolta oscuro a coloro che non ne sono direttamente coinvolti: nonostante un comune ordinamento, il corso di laurea è di fatto poco omogeneo tra i vari atenei, tanto in termini di nozioni teoriche quanto di attività pratiche.
Una volta ottenuto il diploma di laurea, il giovane dottore in Medicina e Chirurgia, deve svolgere un tirocinio valutativo di tre mesi a cui segue un test a risposta multipla, l’Esame di Stato. Il superamento di queste due prove abilita alla professione e rende i laureati medici a tutti gli effetti.
Al termine del proprio mandato, la ministra Fedeli ha firmato un decreto il cui obiettivo era quello di integrare il tirocinio valutativo di tale esame nel corso di laurea. Purtroppo, per una buona applicazione di tale intervento, sarebbe stato necessario un precedente intervento di omogeneizzazione dei percorsi formativi pre-laurea a livello nazionale, non con l’intento di annullare le differenze che rendono peculiari i territori, ma allo scopo di raggiungere una qualità formativa migliore, tanto in termini di nozioni teoriche che di tirocinio pratico, per fornire a tutti i giovani laureati gli strumenti fondamentali per affrontare la professione medica, anche attraverso la definizione di un “core curriculum” comune a tutte le scuole.
Una volta laureato il giovane medico deve proseguire il suo percorso di formazione vita natural durante.
In particolare, può scegliere se frequentare una Scuola di Specializzazione o seguire il Corso Specifico di Formazione in Medicina Generale.
I corsi di specializzazione prevedono che lo specializzando affianchi un medico specialista, acquisendo pian piano autonomia nello svolgimento delle funzioni che dovrebbero restare sempre e comunque sotto la vigilanza di uno specialista tutor; nel frattempo, dovrebbe dedicare parte del suo tempo alle lezioni ed alla ricerca scientifica. Tale formazione ha come punto di riferimento il policlinico universitario, ma le reti formative delle Scuole di Specializzazione, come recentemente ridefinito dal DIM 402 del 2017, possono essere ampliate ad includere le strutture sanitarie del territorio circostante che, a seguito del parere della direzione della Scuola e previa verifica del Ministero, rispettino standard qualitativi adeguati.
Il Corso di Formazione Specifico in Medicina Generale divide, invece, il suo percorso formativo in lezioni frontali, tirocini all’interno degli ospedali territoriali e degli ambulatori di medicina generale e di pediatria di libera scelta. Lo scopo è quello di formare dei medici di famiglia a 360° che conoscano adeguatamente le strutture territoriali in cui operano.
Nella pratica, troppo spesso, quanto sopra non avviene e gli standard formativi rimangono tali solo sulla carta.
Al di là della questione qualitativa vi è poi un problema numerico quando si parla di formazione post-laurea: attualmente i posti messi al bando per l’accesso al corso di laurea in Medicina e Chirurgia sono circa 10.000 mentre le borse di formazione specialistica a disposizione per il proseguimento degli studi, nell’ultimo anno, sono state circa 7000 e, solo da settembre 2018, quelle di formazione in medicina generale sono state aumentate a 2000. Questo, negli anni ha portato ad un accumulo di medici in attesa di formazione che attualmente sfiora le 10.000 unità.
Premesso questo, dove si collocano le proposte che recentemente sono state avanzate per intervenire sulla carenza di medici specialisti?
Le Regioni, a volte anche ponendosi in contrapposizione al Governo, per sopperire alle attuali carenze territoriali e riuscire ad ottenere un aumento dei medici che riescono a completare la formazione specialistica, hanno avanzato la proposta di svincolare la formazione dal contesto universitario per collocare gli specializzandi/lavoratori direttamente sul territorio, nelle ASL. In questa proposta, tuttavia, non è chiaramente definito né il titolo rilasciato dopo tale percorso, né quali potrebbero essere i termini in cui tali medici opererebbero, né chi si dovrebbe fare garante della qualità di tali percorsi. In una logica di contrapposizione, a volte anche strumentale, tra ospedale e università, si è ignorato, inoltre, il fatto che già ora, come sopra citato, gli specializzandi dovrebbero avere accesso ad una rete ampia, e non confinata alle mura delle strutture di Ateneo.
Coscienti delle attuali problematiche presenti in alcune Scuole di Specializzazione, riteniamo che l’attuale sistema formativo abbia numerosi margini di miglioramento nella sua forma attuale e che, per dare più opportunità agli specializzandi, si dovrebbero ampliare le possibilità formative mediante un allargamento delle reti ai presidi territoriali, laddove non siano già in essere, purché vengano mantenuti standard minimi da un punto di vista assistenziale e didattico-formativo e senza perdere un’impostazione che veda nell’Università un imprescindibile elemento di coordinamento.
Per meglio capire l’importanza di questo passaggio è fondamentale spiegare le storture dello status dello specializzando, che vede in sé coesistere due figure: quella del medico in formazione, che acquisisce competenze, e quella del medico lavoratore, che eroga un servizio assistenziale, proporzionale alle competenze già acquisite, ma con progressiva assunzione di responsabilità.
Proprio per questo motivo, a nostro avviso è assolutamente inaccettabile, in ragione di quello che è un deficit reale di personale medico specialista, impiegare in sostituzione specializzandi, che per definizione non sono ancora adeguatamente formati. Ciò, naturalmente, va a tutela tanto del medico, che deve poter svolgere con serenità la propria professione, quanto del paziente, che fruisce delle cure all’interno del Servizio Sanitario Nazionale.
In assenza di norme più precise e piani formativi strutturati per competenze, quindi, il rischio per lo specializzando sarà sempre quello di sbilanciarsi verso l’una o l’altra figura, in base alle necessità del caso.
In seguito, è arrivata una seconda proposta, relativa alle aree di emergenza-urgenza, ossia l’assunzione, mediante un contratto parallelo rispetto a quello che attualmente regola le attività dei medici in formazione specialistica, dei medici specializzandi agli ultimi anni con possibilità di esercitare all’interno del SSN, non come soggetti in formazione, ma come vero e proprio personale dipendente, in aggiunta al monte ore già effettuato come specializzando.
Tale misura emergenziale è stata proposta in ragione di una carenza che è sì oggettiva, ma in una mera ottica di risparmio: gli specializzandi costituiscono un grandissimo bacino potenziale di forza lavoro, ma a più basso costo rispetto ad un medico specialista. In tale contesto non risulta neppure chiaro, ma a nostro parere è verosimile che ciò non avvenga, se, concluso il percorso specialistico, le stesse strutture assumerebbero il neo-specialista adeguandone il compenso a quello del personale di ruolo.
Queste proposte sono inaccettabili, non solo perché si andrebbe ad utilizzare personale ancora non adeguatamente formato, nascondendo i tagli dietro un finto investimento formativo e causando, tra l’altro, un ulteriore blocco del turnover dei medici specialisti, ma soprattutto perché a farne le spese sarebbero i pazienti fruitori del servizio. Si avrebbe, quindi, un contemporaneo danno alla condizione lavorativa di specializzandi e specialisti e alla salute della popolazione tutta, in nome, in realtà, del risparmio economico.
Un’altra soluzione prospettata, e poi ritrattata, è la riduzione della durata delle Scuole di Specializzazione, “nel rispetto della durata minima prevista dalla normativa europea in materia”. In merito alla durata delle Scuole di Specializzazione, infatti, vi sono dei vincoli stabiliti dalle direttive europee 2005/36/CE e 2013/55/UE che regolano il riconoscimento delle qualifiche professionali all’interno dell’Unione Europea.
Già nel 2015 è stato operato un riordino che ha fuso alcune Scuole di Specializzazione e ne ha abbreviate altre, sempre nei vincoli imposti dalla normativa europea.
Di conseguenza, sebbene l’intento del Governo avrebbe potuto essere di per sé apprezzabile, poiché gli eventuali risparmi sarebbero stati destinati all’incremento del numero di contratti di formazione medica specialistica, sarebbe stato d’obbligo cercare innanzitutto di definire a quanto ammontino questi eventuali risparmi. Non solo l’applicazione della norma richiederebbe un lungo iter coinvolgente pressoché ogni organo del sistema universitario (il rinnovo delle SSM ex DM 68/2015 ha richiesto circa due anni di tempo) ma -elemento forse non considerato al momento della proposta- la maggior parte delle attuali Scuole di Specializzazione italiane rappresenta la fusione di percorsi un tempo distinti. Stando alla normativa europea di riferimento, non è possibile ridurre più di tanto la durata delle Scuole, e anzi, è teoricamente possibile farlo ancora solo per una minoranza di esse. Nella pratica, il risparmio economico da reinvestire sarebbe, a nostro avviso, incerto, lontano nel tempo e probabilmente anche irrisorio.
Riteniamo, quindi, che tale proposta presenti numerose criticità sul piano formale e dell’efficacia nel breve periodo, nonostante fosse proprio questo l’intento. Al netto delle perplessità relative all’efficacia nel breve periodo, crediamo che la riduzione della durata delle Scuole di Specializzazione improvvisa e senza una ridefinizione dei piani formativi, ne rappresenti uno svilimento, poiché implicitamente afferma che la formazione impartita sia talmente superflua da poter essere sforbiciata per decreto.
Le criticità dal punto di vista qualitativo delle Scuole sono tante: in questi anni sono stati introdotti dei primi strumenti di verifica e controllo, che necessitano tuttavia di ulteriore implementazione. Occorre una rivisitazione per competenze dei piani formativi, più trasparenza sulla formazione erogata dalle Scuole e controlli capillari e periodici da parte degli enti preposti, come l’Osservatorio Nazionale e gli Osservatori Regionali.
In ultima istanza, la riduzione della durata ex lege per fini contabili potrebbe determinare una possibile incoerenza con le normative comunitarie, che di fatto mutilerebbe la spendibilità del titolo nel resto d’Europa.
In parallelo, ora che comincia a vedersi sempre più incalzante la carenza di medici di famiglia, cominciano ad arrivare proposte di riforma della medicina generale.
In ragione di tale carenza è stato, infatti, proposto di aumentare a 2000 i posti a concorso per i medici iscritti al corso di laurea entro il 1991 e abilitati dopo il 1994 (colleghi che devono solo prendere il punteggio minimo del test per entrare in graduatoria e ottenere una formazione priva di borsa), e di eliminare i vincoli che garantiscono l’accesso solo ai colleghi con le suddette caratteristiche di età, ampliando anche a coloro che abbiano almeno 5 anni di esperienza lavorativa come sostituto nell’ambito delle cure primarie, creando così un doppio percorso formativo (con borsa e senza borsa). Per fare ciò sarebbe inoltre necessario eliminare le incompatibilità lavorative che garantiscono la frequenza a lezione e tirocinio dei colleghi in formazione.
Sempre in merito alla medicina generale è stato inoltre proposto di ridurre il corso ad un 2 + 1, abbonando un anno a coloro che lo abbiano svolto, in attesa dell’ingresso al corso, lavorando per le ASL.
Entrambe le proposte, di cui la prima già bocciata, non presentano specifiche riguardo ad un miglioramento degli standard formativi dei colleghi generalisti, ma piuttosto mirano ad un risultato numerico e questo in un momento in cui risulta sempre più evidente la necessità di un inserimento della medicina generale in un ambito di ricerca e di formazione equiparabile a quella dei colleghi specialisti.
Nelle ultime decadi sembra che i governi stiano puntando a risparmiare sulle fasce più deboli della popolazione: i giovani e gli anziani. Anziché investire sul futuro in termini di istruzione e di salute della popolazione, ci si muove in direzione opposta, in nome di un risparmio che, di fatto, non porta ad altro che maggiori spese future per sanare i danni che i tagli attuali stanno creando.
A riprova di ciò, nella legge di bilancio recentemente approvata, è previsto uno stanziamento per borse di specializzazione del prossimo triennio ancora sottodimensionato rispetto alle reali necessità. Tale scelta politica non fa che confermare la volontà di non stabilizzare i medici specialisti presenti sul territorio, e di ricorrere, piuttosto, a forme contrattuali ibride che permettano di impiegare come manodopera a basso costo medici in formazione o medici in attesa di formazione.
Complice la disparità tra numero di laureati in medicina e numero di borse di formazione specialistica, i giovani medici si stanno accalcando sempre più numerosi alle porte dei corsi formativi post-laurea, in attesa di un entrata di emergenza, che, infine, li costringerà a venire a patti con il loro stipendio, la loro formazione, i loro diritti di lavoratori e di genitori, così come già capitato in altri contesti. In questo caso, per la natura stessa delle mansioni mediche, ad un simile danno si aggiungerà quello arrecato alla popolazione, visto l’inevitabile scadimento della qualità di cura.
In un frangente in cui il nostro Servizio Sanitario Nazionale è già in ginocchio, anziché cercare di sanare la situazione, si continua a non investire sulla salute dei Cittadini, seguendo i trend politici degli ultimi anni.
È necessaria una inversione di rotta, tanto in termini di assunzione del personale specialista qualificato quanto in termini di formazione post-laurea. In merito a quest’ultima le soluzioni alternative a quelle proposte esistono, e richiederebbero stanziamenti che, rispetto al volume totale di una manovra finanziaria, rappresentano briciole.
La volontà politica deve essere quella di investire su una formazione medica di qualità, che sia da esempio a livello Europeo, non quella di trovare soluzioni a costo zero per fronteggiare una situazione non più rimandabile. Le scelte da fare sono chiare e, se non si prendono ora, negli anni a venire si avranno ripercussioni inevitabili tanto in termini di salute di popolazione quanto di costi derivanti dalla maggior disorganizzazione e peggiore qualità del servizio erogato nella sua interezza.
E questo, nella tutela di un diritto sancito costituzionalmente, non possiamo permettercelo.
Associazione Chi Si Cura di Te?
FederSpecializzandi – Associazione Nazionale dei Medici in Formazione Specialistica.
(Scarica il comunicato in formato PDF QUI)