Lo scorso Marzo avevamo scritto un’analisi sulle prime indiscrezioni sul Patto per la Salute, l’accordo finanziario e programmatico tra il Governo e le Regioni, che viene rinnovato ogni tre anni e serve a migliorare la qualità dei servizi, promuovere l’appropriatezza delle prestazioni, garantire l’unitarietà del sistema.
A inizio giugno è stata diffusa una nuova bozza, datata 25/06/2019.
Tra l’8 e il 10 Luglio, il Ministero della Salute organizza una “Maratona di Ascolto” aperta a tutti gli attori della sanità interessati a dare il loro contributo: http://www.salute.gov.it/portale/pattosalute/homePattoSalute.jsp).
Un’iniziativa lodevole a cui anche noi parteciperemo come associazione professionale.
Vogliamo cogliere pertanto l’occasione per portare le nostre riflessioni sulle proposte relative alla formazione medica specialistica contenute nell’ultima bozza resa nota.
Nello specifico, queste si trovano all’articolo 5 sulle “Risorse Umane”, che di seguito analizzeremo dettagliatamente commentando i passaggi per noi cruciali.
Premettiamo di essere lieti di leggere aspetti quali l’accento sulla qualità delle risorse umane o la necessità di stabilire un’analisi programmatica dei bisogni, come specificato dai punti 1 e 2.
Risulta però conflittuale leggere parole quali “valorizzare il ruolo dello specializzando” che si traducono poi in proposte che de facto rischiano di minare la struttura della formazione specialistica.
Buone premesse devono tradursi in risposte efficaci, che non cancellino i progressi fatti negli anni.
Punto 3) Governo e Regioni convengono sulla esigenza di valorizzare, già a legislazione vigente, il ruolo dello specializzando all’interno delle strutture, riconoscendo innanzitutto come recentemente chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza 5 dicembre 2018, n. 249, che il medico in formazione specialistica può svolgere, con progressiva attribuzione di autonomia e responsabilità, specifici compiti che gli sono stati affidati tenendo conto degli indirizzi e delle valutazioni espressi dal Consiglio della scuola.
Questo punto ci trova a livello teorico molto d’accordo, ma i dubbi riguardano la reale traduzione in termini pratici. Siamo i primi a chiedere una progressiva autonomia degli specializzandi in base alle competenze acquisite, ma come è possibile ottenerla se non esistono metodi di verifica di quanto viene appreso?
Come si fa oggi a stabilire cosa lo specializzando ha imparato o meno, e dunque quali mansioni progressive può svolgere, se non esistono nemmeno degli standard formativi e dei curricula nazionali specifici per specializzazione strutturati per competenze?
Chi certificherà cosa, se tra Scuole esistono ancora enormi differenze formative e i libretti formativi in possesso degli specializzandi sono spesso un’inutile formalità?
Allo stato attuale, il rischio è che la certificazione delle competenze risulti estremamente discrezionale e funzionale ad altre necessità.
Punto 4) Convengono inoltre sulla necessità di prevedere interventi orientati alla revisione del sistema di formazione dei medici specialisti, prevedendo per gli specializzandi la possibilità, dopo un congruo periodo di formazione, di proseguire il percorso presso una struttura sanitaria regionale pubblica facente parte della rete formativa, accreditata ai sensi dell’art. 43 del d.lgs. 368/1999. In quest’ultimo caso lo specializzando sottoscriverà un contratto di formazione-lavoro, con oneri a carico della Regione, per lo svolgimento di attività assistenziali, coerenti con il livello di competenze e autonomia raggiunte, certificate congiuntamente dalla scuola di specializzazione e dai dirigenti responsabili delle strutture operative complesse presso le quali lo specializzando ha svolto le attività pratiche professionalizzanti. [….] In ogni caso la formazione teorica compete alle Università, mentre la formazione pratica è svolta presso l’azienda sanitaria o l’ente d’inquadramento. Resta fermo che il titolo di specialista sarà rilasciato dall’Università.
Cerchiamo di far luce su questo punto piuttosto complesso. Si legge che gli specializzandi svolgeranno un percorso in una rete accreditata, dopo un “congruo periodo di formazione”.
Si sottende dunque, che le strutture accreditate non debbano a loro volta far parte della formazione dello specializzando? Una – non meglio definita – formazione dovrebbe essere propedeutica al lavoro nelle strutture sanitarie regionali, per sopperire forse alla carenza di specialisti nel territorio?
Inoltre, già oggi gli specializzandi ruotano nelle reti formative ed entrano in contatto con le realtà non Universitarie (riforma delle reti formative istituita con il DIM 402/2017).
Esse però dovrebbero essere tenacemente integrate nel percorso formativo e al loro interno lo specializzando dovrebbe acquisire specifiche competenze e non servire come contenitore di personale gratuito quale potrebbe essere il medico in formazione specialistica.
E, come già sottolineato, le competenze acquisite vanno valutate in maniera rigorosa e la metodologia deve essere uguale per tutti: non basta un placet discrezionale del direttore della scuola congiunto a quello dei dirigenti delle strutture operative della rete formativa.
Slegata inoltre dalla realtà è la distinzione netta secondo cui la formazione teorica compete alle Università, mentre la formazione pratica è svolta presso l’azienda sanitaria. Una visione anacronistica, che alimenta lo stereotipo dell’Università come mero erogatore di lezioni teoriche, spesso frontali e obsolete e dell’ospedale come luogo di sola pratica.
Già ora nei reparti a conduzione universitaria si svolge attività assistenziale e già ora nelle strutture non universitarie ci sono professionisti capaci di offrire una formazione teorica rigorosa. I livelli vanno piuttosto integrati, aggiornando le metodologie didattiche e inserendo strumenti di verifica della qualità per tutte le figure coinvolte nel processo formativo.
Il percorso formativo del Medico può e deve essere migliore, e non si devono operare distinzioni forzose e strumentali, che spesso non esistono nella realtà.
Purtroppo invece le discussioni politiche e mediatiche spesso si concentrano sterilmente sullo spostare lo specializzando dai policlinici universitari al territorio o viceversa.
Rifiutiamo queste dicotomie illogiche, molto utili per polarizzare inutilmente il dibattito e creare tifoserie senza senso. Uno specializzando deve formarsi prendendo il meglio che c’è di entrambe le realtà; non deve essere né un teorico puro incapace di operare o di essere autonomo clinicamente, né un “praticone” che snobba la produzione scientifica.
Perché non lavorare invece su standard formativi nazionali e su metodi rigorosi di valutazione delle competenze, di concerto con tutta la rete formativa che nel percorso di formazione ha certamente un ruolo fondamentale? Perchè non investire nella qualità e nell’equità formativa?
Queste sono le vere domande a cui dare una risposta.
Infine, come avevamo precedentemente ribadito, il DLgs 368 del 1999 spiega che “il medico stipula un contratto di formazione-lavoro”, e in nessun caso si parla solo di “studente” o solo di “lavoratore”.
Questa denominazione è stata poi successivamente modificata tramite la legge 266 del 2005, che a partire dall’Anno Accademico 2006/2007 ha introdotto la definizione di “contratto di formazione specialistica”, per precisare meglio lo status dello specializzando.
Al di là delle etichette, il binomio formazione-lavoro esprime a pieno il bisogno formativo del medico specializzando, in una proporzione che deve pendere verso il “lavoro” man mano che la “formazione” cresce nel corso degli anni. Gli obiettivi formativi però devono essere chiari, standardizzati e rigorosamente valutati. Senza una definita e rigorosa strutturazione delle competenze da acquisire, proposte come questa alimentano solo confusione.
Punto 5) Al contempo si conviene sulla necessità che il Governo assuma iniziative normative straordinarie e urgenti per la risoluzione della situazione emergenziale di carenza di medici specialisti in organico nel SSN determinatasi, con particolare riferimento ad alcune discipline, in parte dalla carenza di specialisti, in parte dalla mancata o molto limitata partecipazione alle procedure concorsuali.
Se condividiamo le premesse che considerano la carenza dei medici specialisti un’emergenza del SSN, riteniamo non si possa pensare di risolvere l’imbuto formativo dequalificando la formazione specialistica o scaricando sugli specializzandi le responsabilità di coprire le carenze di organico.
È necessario aumentare il numero di contratti di formazione specialistica mediante una rigorosa programmazione e con particolare attenzione alle discipline individuate dalla conferenza Stato-Regioni come quelle a maggior bisogno.
Inoltre non si può responsabilizzare chi diserta i concorsi pubblici se non viene aumentata la qualità dei contratti, delle retribuzioni e del lavoro del medico nel SSN. In questo contesto particolare attenzione va data a specializzazioni come quella in Medicina di Emergenza-Urgenza, alla quale devono essere riconosciute condizioni particolari, come lo status di lavoro usurante.
Che senso avrebbe, altrimenti, assumere gli specializzandi (come stabilito dal recente Decreto Calabria) se a monte si lasciano invariate le condizioni da cui tutti fuggono?
Punto 6) Stato e Regioni convengono sulla necessità di prevedere, la possibilità per i medici di accedere al Servizio Sanitario Nazionale, oltre che con il diploma di specializzazione, anche con la laurea e l’abilitazione all’esercizio professionale, prevedendo l’utilizzo di tali professionisti all’interno delle reti assistenziali, per lo svolgimento di funzioni non specialistiche.
Se teoricamente anche i medici neo-abilitati potrebbero avere un ruolo e delle funzioni all’interno del SSN, le “competenze non specialistiche” di cui parla il testo risultano confuse e nebulose.
Il rischio concreto di questa proposta è quello di favorire l’ingresso di personale non adeguatamente qualificato in strutture carenti ma estremamente complesse come i Pronto Soccorso.
Una manovra che in tal senso si configurerebbe come un tentativo di risolvere in termini meramente economicistici il problema delle aree critiche del Servizio Sanitario, facendo ricorso a personale a basso costo, non formato e in condizioni lavorative precarie.
Conclusioni
Il Patto per la Salute, pur con diverse note che accogliamo positivamente, ci trova critici sul Capitolo 5 dedicato alle risorse umane, che presenta proposte che possono portare ad una dequalificazione ulteriore della figura dello specializzando.
Siamo consci della necessità di una riforma radicale, ma in nessun modo questa deve contemplare lo specializzando come uno strumento per tappare le carenze di organico e per tamponare una situazione emergenziale di carenza di personale.
Il medico in formazione specialistica ha diritto ad una formazione di qualità uniforme a livello nazionale, che può passare soltanto per un processo di strutturazione di competenze da acquisire e verificare in modo sistematico e rigoroso, considerando l’opinione degli specializzandi come parte fondamentale di questo processo.
I medici del Servizio Sanitario, al contempo, hanno diritto ad un lavoro di qualità, a contratti dignitosi e retribuzioni coerenti con il lavoro svolto.
Soltanto così il Servizio Sanitario potrà ripopolarsi, senza che a farne le spese siano i medici in formazione e soprattutto i pazienti.
Senza investimenti e azioni programmatiche, i buchi del SSN continueranno ad aumentare, i medici continueranno ad emigrare e la qualità delle cure crollerà vertiginosamente.
In questi anni abbiamo elaborato diverse proposte operative per un miglioramento organico del nostro sistema formativo.
Le abbiamo raccolte in un documento che potete trovare qui: https://www.federspecializzandi.it/wp-content/uploads/2019/06/Proposte-formazione-FederSpecializzandi.pdf