Direttiva Europea sull’orario lavorativo dei medici: il punto di vista di FederSpecializzandi

Dal 25 novembre anche in Italia entra in vigore la “direttiva sull’orario di lavoro ai medici che lavorano nel servizio sanitario pubblico” del 2003, che si applica a tutti i medici assunti con contratto di lavoro subordinato, compresi i medici in formazione specialistica che per contratto hanno orari del tutto pari a quelli del personale strutturato.
Tale direttiva prevede che l’orario di lavoro del medico (che dovrebbe già essere di 38 ore, di cui 4 di aggiornamento/formazione) non possa mai, in nessun caso, superare le 48 ore settimanali.
Inoltre, ciascun turno non potrà mai superare le 13 ore e tra un turno e l’altro dovranno essercene almeno 11 di distanza.
Infine, il medico avrà diritto ad almeno una giornata intera di 24 ore settimanale di riposo e di 4 settimane annue. Le 11 ore di riposo potranno essere ridotte solo in casi eccezionali, ma la differenza dovrà essere immediatamente recuperata il giorno successivo.
Le 48 ore settimanali sono comprensive dell’aggiornamento/formazione e della reperibilità, e sono un limite massimo da raggiungere in casi particolari come l’assenza di un collega.
Superare questo limite sarà considerato un illecito, punito con sanzioni pecuniarie per importi fino a 10.000 euro, addebitate ai responsabili della struttura.

Va ricordato che questa direttiva integra e non sostituisce il contratto nazionale (applicato anch’esso ai medici in formazione specialistica per quanto riguarda l’orario di lavoro), che garantisce il recupero dei giorni festivi e dei periodi del fine settimana.

L’orario, stabilito a livello europeo e valido quindi anche in Paesi con un’altissima produttività lavorativa, è frutto del recepimento del valore del riposo, che sulla base di una larga evidenza scientifica è considerato indispensabile per svolgere al meglio e in sicurezza l’attività lavorativa.
Questo a tutela della salute del personale medico e dei pazienti: è dimostrato come a breve termine cali d’attenzione e vigilanza siano più probabili per chi lavora per più di 13 ore al giorno.
A lungo termine il rischio di patologie cardiovascolari, tumorali e di patologie psichiatriche quali ansia, depressione e burnout diventino probabili per chi lavora abitualmente 60 ore o più a settimana
In mancanza quindi del rispetto di tali indicazioni di orario, sono presenti dati che confermano l’aumentato rischio di errore professionale a breve termine e l’aumentato rischio per la salute del professionista a medio/lungo termine.

Il governo Italiano ha atteso ben 13 anni prima di recepire la direttiva, approvando via via deroghe per eludere la Commissione Europea, fino all’emanazione di un pronunciamento della Corte di Giustizia Europea, la quale ha accolto svariate richieste di risarcimento presentate da medici che avevano lavorato più dell’orario massimo stabilito.
Il motivo di tanta resistenza a recepire questa norma non è noto, ma si possono fare delle ipotesi: è infatti calcolato che, allo stato attuale e con questo organico, è impossibile garantire le adeguate prestazioni sanitarie con l’orario massimo stabilito se non assumendo 3.000-5.000 dirigenti medici.

Ciò significa che questi anni di lavoro in eccesso da parte di medici strutturati e specializzandi hanno consentito allo Stato risparmi di bilancio e tagli al personale.
Eppure ancora oggi vengono approvati nuovi tagli al fondo per la sanità, e con la nuova legge di stabilità del 2016, all’art. 21, viene limitata la sostituzione del personale che va in pensione (turn over) al 40%, per cui il numero di medici assunti continuerà a ridursi se non verrà decisa un’inversione di tendenza.

E per i medici in formazione specialistica cosa comporta l’entrata in vigore della Direttiva Europea in questione?

Come già specificato, le limitazioni di orario risultano valide anche per i medici in formazione.
Occorre inoltre da considerare che lo specializzando è chiamato a svolgere sia attività professionale assistenziale, sia attività formativa (lezioni, ore di studio, di ricerca, partecipazione ad eventi formativi, frequenza in altri reparti/strutture, affiancamento durante manovre invasive/esami strumentali, ecc.).
Pertanto diviene ancora più difficile definire il numero di ore lavorative dato che il medico investe del tempo anche in attività formative.
Si può affermare, quindi, che, forse ancora di più per il medico in formazione, verrà ad essere fondamentale il rispetto della normativa, poichè un’eventuale eccesso di ore di lavoro, fuori dai limiti consentiti, va a sacrificare proprio le attività formative e didattiche.
E’ vero che negli anni della specializzazione è consuetudine passare molto tempo in ospedale, ma è necessario valutare come venga impiegato all’interno della struttura.
Fare in modo che le ore di lavoro/assistenza rimangano entro certi limiti definiti dalla direttiva, permette di garantire i tempi da dedicare per un’adeguata formazione.

In questo contesto, é fondamentale quindi che le strutture ospedaliere non cerchino di sostituire il sovraccarico lavorativo dei medici strutturati con l’impiego improprio di medici specializzandi, i quali non devono, per legge, essere sostitutivi del personale strutturato ma devono piuttosto svolgere mansioni destinate in primo luogo all’apprendimento, quindi in affiancamento o sotto la supervisione di un medico specialista.

Agli specializzandi stessi e alle loro associazioni spetta il compito di vigilare perché questo non avvenga.

Questa direttiva, ristabilendo il valore del tempo del medico, può essere un’occasione fondamentale per razionalizzare gli orari degli specializzandi, in modo che le ore lavorative siano impiegate per attività davvero formative e utili al medico in formazione e ai pazienti e siano affiancate a ore di esclusiva attività formativa.